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The Brooklyn way

Ventun gradi 
Ventun grammi (non era quello, il peso dell’anima?) 

Il sole fuori e anche un po’ dentro

Fiori rosa, un anno di più. E nello stesso giorno un bel corteo, così forte e identificativo. Una telefonata buffa, una cena carina. Un brindisi, un regalo (su tutti). 

La paura del futuro soffiata via piano, lievemente, sospinta un poco più in là. 
Andate e ritorni in giornata, proprio io che odio i viaggi. Impressioni negative e feedback che le smentiscono. 

Forse ce la faccio
Forse sì, eh

Forse ce la facciamo 

Se non altro, ci proviamo
Spread love, it’s the Brooklyn way.



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Berlin sunrise

Quando parti e non te ne rendi conto
Con un fare sprovveduto
Senza guardare la mappa né portarti dietro cose di prima necessità
Forse senti che stai andando in un posto che in qualche strano modo
Senza motivo apparente
E’ un po’ casa

Berlin Berlin
Le strade le persone le cose
Gli amici
Il lavoro e i premi
E la nostalgia
Un po’
Ti telefono se vuoi
Col roaming europeo
E sembra una canzone
Sorrisi, sorrisi

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Anyway

Life goes on
And that would happen anyway

Per questo celebro la gioia
Sentirmi sempre stanca
E lo stesso avere tantissima voglia di fare
La libertà di arrabbiarmi sapendo che le cose si aggiusteranno
Mangiare cioccolata per alzare la pressione

Tu che dici una cosa e fai il contrario
Arrivare alla conclusione che si deve non parlare
Perché voglio fare un pezzo di strada con te
E ci saranno i fiori
E ci saranno giacchetti azzurri
E ci sarà lo spazio per i progetti – anche se non lo diciamo
Per quelli da sola e per quelli in due.
E anche per quelli in cento
E tu mi terrai per mano nella folla sconosciuta e familiare
Ed è una fortuna
E quello che più somiglia alla mia idea di felicità

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All the pretty things that we could be

Giorni che sì,
giorni che no.

Se son felice non scrivo, rido, mi lascio prendere dalla frenesia.

Primavere e concessioni

Penso che quando le cose cominciano ad assumere tutte le sfumature, e a non esser più solo bianche e lucenti, quando comincio ad osservare e mettermi in discussione senza pensare di mandare la partita a monte, in quel momento lì, siamo all’inizio della realtà.

Ed è bellissimo

Nonostante il mio sentirmi stropicciata, il mio piacermi “quasi” e “poco” o “non ancora” (perché citiamo tutti Concita di questi tempi? Vuol dire forse che il suo lavoro ci stava).

Nonostante il nostro non combaciare che scompare quelle (poche) volte che non siamo solo io e te.

Nonostante lo smarrimento, le strade per il futuro che si perdono nella nebbia. E la fiducia che sarà forse malriposta. Ma ogni tanto fidarsi serve.

Ecco, ogni tanto fidarsi serve.
Buona primavera.

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En pure

Per spezzare i circoli viziosi a volte basta fare un passo indietro.
Faccio i conti con le trappole per un’ora a settimana (oltre che sempre) e per tutto il tempo nel frattempo c’è quel verbo bellissimo che è barcamenarsi. La cui accezione approssimativa è (almeno nel caso in esame) estremamente liberatoria e illuminante.
E sarò proattiva. Ché tra il difendersi e il pensarsi sempre in difetto c’è tutta la differenza del mondo.

Che aspettare qualcosa di buono non somiglia a non sorridere sovrappensiero. Anzi, è quasi la stessa cosa.

Accorcio la lista dei “da fare” e se farà paura, se farò paura, andrà meglio dopo un po’.
Sono fortunata.

[E forse alla fine si capirà che avevo solo contato male.]
Guarda che sole c’è.

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Lost in the weekend

Andiamo a vivere su Marte
Oppure a Rimini sul mare

Ma non ci sono le terrazze sui tetti
Non ci sono le facce attese che compaiono sopra ad una camicia blu petrolio, e i sorrisi e i buffetti a cui potresti rinunciare
Le letture di tarocchi dicono le cose sbagliate che però forse son giuste, ci guardiamo al di sopra delle figurine e cerchiamo di sdrammatizzare, e riconosciamo la Malvasia nei bianchi sfusi, sorrisi, sorrisi.

E finisce che siam sempre lì, ti lascio tutto per il mio quadrante di Roma
Anche se senza la macchina sembra più grande di un quarto di mondo

Dormo sonni profondi e inspiegabilmente indisturbati, biscotti a colazione, ci vediamo la prossima volta. Forse.

Quanta poesia ci può essere nel portarti a casa sulla canna della bici e respirarti tra i capelli, fosse solo quello, basterebbe.

E assorbo tutto, io.
Wer bin ich?
Assorbo le sensazioni le considerazioni le canzoni
Le proiezioni di quel che penso pensino gli altri

Nelle strade ascolterò la gente
Con i suoi pensieri in fila
Nelle metropolitane nei finesettimana
C’è chi ha voglia di ballare

Ci siamo noi che andiamo a cena con la metro
Che non ci somigliamo ma ci occupiamo un pezzo di cuore

E sono travolta da quanto i miei baricentri siano altrove rispetto a dove avrei pensato

E ce l’ho, quello che voglio
Almeno un po’.

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Pinocchi

Dicono che l’autoironia la devo dismettere.
Ché forse son quei momenti in cui hai davanti due strade: o chiedi per te o lasci passare, ridi, ti metti da parte.
Io neanche a dirlo, che prediligo. Se non chiedi nessuno nega, se non pronunci, se non definisci i confini, nessuno soffrirà, magari tu, ma nemmeno troppo: in fin dei conti, hai scelto. Non ti sei mica lasciata accadere, tu.

Scorrettamente disegni prigioni, e ti ci siedi, obbediente.

Ma in qualche storia Pinocchio era rimasto un burattino, e Cenerentola ballava scalza in mezzo alla gente.

E se c’era lo spazio per tutti, c’era anche per te.

Quindi lo dico:
Ti voglio bene ma non ti amo
Vorrei passare del tempo con te
Forse ho sbagliato (ma forse no)

E andrà bene uguale
O magari anche meglio, eh.

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La via più breve

Per andare dal punto A al punto B a volte sarebbe comoda una retta, una poco-curva, una geodetica se serve (che concetto prodigioso, poi).

E io invece sto imparando che i veri percorsi sono tortuosi, mischiati, nebbiosi, e certe volte prevedono che siano voltate le spalle alla destinazione d’arrivo. Necessariamente. Poi, i tornanti.

Avverto che all’improvviso l’aria è cambiata, sarà che qualcuno si è portato via il caldo intollerabile di luglio, e si può dormire in luoghi che non ti appartengono, e si può svegliarsi presto e intontiti, e fare amicizia coi vicini di tavolo al bar, facendo colazione, e stare, attraversare, non chiedere, non ridere, godere del momento, e basta.

Ho nuove persone che brillano di una vicinanza inusuale e bella, ho vecchi pezzi di cuore e braccia e anima che mi girano intorno e progettano partenze, ho casa e la città che è più vera che mai.

Ho una pelle nuova sgusciata dalla mia scorza protettiva, un nuovo senso del tempo e delle attese, la prospettiva dei saggi, ma solo un po’. E l’impazienza dei bambini. Sarà che ho un nuovo apparecchio ai denti.

(Amore mio, è arrivata l’estate)

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Cose che cambiano e cose che no (capitolo secondo)

Le cose che cambiano è non conoscere gli esiti, volersi togliere di torno questo bozzolo di perfezione fiammiferaia. Le cose che cambiano è mettersi al primo posto. Le cose che cambiano è far cadere muri di età minori e di scelte di vita, e non volersi adattare a dimensioni minoritarie per il nobile atto di lasciar liberi (gli altri).

Le cose che no, è la mia decisione e il fegato iperrazionale. Le cose che no saranno i luoghi e i discorsi. O forse cambieranno anche quelli, e io non lo so. Le cose che no è riordinare la mia camera, è il mal di stomaco e il cercare di non pensare, indovinando insieme.

“Ci prendiamo una birra una sera di queste?”
“Si… volentieri”
“…”
“…”
“Questo silenzio fa ridere”
“No è che… cercavo di capire se era un avance”

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Brighter than the sun [decalogo di sopravvivenza per storie più o meno finite]

1) Mai fare nomi propri in pubblico. Ancora meno, nomi e cognomi assieme.
2) Le cose non sono mai, mai andate esattamente come ricordi tu.
3) Piacere ad amici, colleghi e conoscenti è strategico prima, utile durante. Completamente privo di importanza, poi.
4) Ciononostante, gli incontri con amici, colleghi e conoscenti avverranno, senza ombra di dubbio, durante la tua ora peggiore, devastata dall’alcool o in preda alle endorfine post palestra, ancora ansimante e senza trucco.
5) Dismettere i gusti musicali acquisiti durante una storia alla fine della stessa conferma l’idea che tu sia un tipo influenzabile. Continuare ad ascoltare musica che non ti appartiene (specie se dal vivo) svela una vaga vena patetica che non vorresti evidenziare in pubblico.
6) Una volta mi hanno detto che il tempo di elaborazione di una storia è la durata della storia stessa. Hanno mentito, per vari ed evidenti motivi.
7) Vestirsi bene e mettersi nella migliore luce possibile, per un appuntamento con un ex, è un dovere morale verso sé stessi. L’onestà è per i dilettanti.
8) Immaginavi i lati oscuri della persona che avevi davanti, all’inizio? Ecco, appunto.
9) Le omonimie sono straordinarie se e olo se tu sei quella/o che rimane, tra le due persone col nome uguale.
10) Niente consola più dai fallimenti precedenti dello struggimento per un nuovo, inopportuno, amore non corrisposto.

p.s. La frivolezza è un’arma, e oggi ho scelto di appropriarmene. Oltretutto, siamo pure in tema.

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