Partiti da lontano
E di colpo arrivare
Ad essere contenti
Ma il colpo era forte
E le note non erano giuste
E senza vincere niente
Senza partecipare
Rincorriamo le notti
E torniamo a dormire
E le mani più grandi
Dei tuoi sogni dispersi
Dentro cassetti vuoti milioni di versi
Un anno pieno è agli sgoccioli, ma cose importanti devono ancora succedere o stanno succedendo ora, a qualche centinaio di chilometri da qui.
Un’altra volta su un treno, attraverso la mia pianura, e ho le lacrime agli occhi, mi bruciano. (Cambio di soggetto, oggettivo).
Doveva essere un Natale di letargo e invece no, ancora a spaventarsi (non troppo, si dirà), ancora nei giallini corridoi d’ospedale del nordest. Ancora ad esser roccia ed avere bisogno di scivolare via. Felice del ruolo ma stanca, stanchissima. Dicevo “qui si lamentano tutti di questo anno di merda e io invece mi sento grata”, ed è ancor più vero ora.
E ho passato la vigilia a piangere senza riuscire a fermarmi, di fronte a uno di quei film di Natale degli amori incompresi e le occasioni perdute. Forse era sollievo, che sennò altro che piangere, mi sarei incazzata da morire.
E parte il treno dalla mia stazione, e in un attimo siamo nella campagna nebbiosa, con quel sole pallido, e i filari d’alberi, e mi si annebbia la vista e piango un po’. Sollievo ancora, e paura di perdere, che cerchiamo di convertire in prospettive e modi più costruttivi per me, per noi, per tutti. Perché è così che si va avanti.
Ci ricorderemo i regali di Natale con niente in cambio, le vicinanze inattese, chi supera gli ostacoli e pure chi cementa le barriere. Ma noi costruiamo le tribù. La mia è altrove da questo orizzonte piatto, altrove dai luoghi dove sono cresciuta, e forse per questo mi lascia respirare.
Ed è confortante, a volte, che la storia si ripeta.
Buon anno.