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Apartment story

Comincio a pensare che ci sia uno spazio
Per il riconoscersi dei tratti peculiari
Per un bacio quando vorresti dormire ancora
Per una porta che apri tu, quando sai che mi manca l’equilibrio
Per ripetere le cose che hai già detto
Per peccare di ingenuità
Farsi riconoscere dai baristi
Essere corrucciati e accorgersi comunque di chi hai a fianco
(Che poi è la cosa migliore, la migliore di tutte)
La solidarietà per le persone goffe
Ah volevo ben dire

E quindi metto i chilometri tra me e i pensieri
Lascio le sensazioni a decantare
Me ne vado nella pianura
Nella casa piena di risate, due anni dopo
A vedere che succede
Ché le cose belle, se sono vere, ti aspettano
(Un po’ come noi)

So worry not
All things are well
We’ll be alright
We’ll have our looks
And perfumes

Perché a me gli amori imperfetti mi commuovono
Da sempre, eh.

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But the fighter still remains

Confusa e felice cantava qualcuna
E i cali di pressione in fatiscenti uffici pubblici ti fan sentire un po’ così
“Oddio signorì, ma che è incinta?”

Sole invernale
Tutto è colorato di questa luce magica
E noi fermi e in movimento sempre
E noi e gli occhi intelligenti
E non mi farò mai più le storie con quelli più giovani di me
Ma ogni tanto è divertente sovvertire

Crederò a qualcuno prima o poi
Sperando di cascare in piedi

Intanto non so se mi restauro o mi consumo
Ma non è vero sempre?

…still a man hears what he wants to hear and disregard the rest.

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Nibali.

Che non si capisce perché in queste pagine, di elucubrazioni allo specchio, qualche idillio e qualche, più rara, riflessione sistemica, debba trovar spazio un titolo così.

Ma un po’ è nostalgia di un tempo che sembra lontanissimo. Un tempo di pomeriggi davanti ad esercizi di matematica complicata, per sottofondo la telecronaca e la sperimentazione, per me sempre nuova e travolgente, di come guardare lo sport con un tifoso trascini nell’arena anche te, semisconosciuta a questi saliscendi in bicicletta. Se non fosse per il mio nonno paterno, che i pomeriggi d’estate, da bambina, guardavo fissare il pirata sullo schermo, seduto a trenta centimetri dalla tivù.

E un po’ è metafora del tempo attuale, il titolo, quel nome, come le corse e la fatica e i traguardi che arrivano, dietro la curva, quando ormai ti eri dimenticata di aspettarli. Arrivano e mi trovano gioiosa, lo stomaco distrutto dagli antibiotici, la testa che non riesce a stare ferma su una cosa sola.

Mancano tre giorni alla mia estate.

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Amor particolare.

Primavere autunnali si definiscono a partire da aggettivi con qualche pretesa di troppo.
Ne sono innamorata in un modo tutto particolare
mi dice B., condividendo riflessioni su skype condite di videochiamate saltellanti.

E io che ne so, che ormai mi sento come una vecchia saggia consigliera, dall’alto del mio eremo che consente una lettura distaccata degli eventi. Che ne so, che mi sento un maglione di quelli da casa, quelli morbidi ma di colori orribili, che li metti pure se hanno i buchi perché ti fanno compagnia.

Io che ne so, dell’amor particolare, mentre mi sembra che tutti e tutte caschino nella rete e si sentano gli unici al mondo, quando sono tanti, e io lo so perché li vedo, li guardo, per la strada, sull’autobus, sulle scale dell’università, sono tanti e sono tutti, meravigliosamente, uguali. La luce negli occhi, e i baci e la comprensione, più di tutto. Io che ne so, neanche mi ricordo che vuol dire, quell’abitudine di un corpo vicino al tuo, la comunicazione non verbale, l’intimità.

Sto, osservo, tengo tutti a distanza e mi sento goffa e onnipotente allo stesso tempo, ché se volessi tutto potrei, il problema è che non voglio.

Quello che voglio, in realtà, è prendere il tram e scendere alla fermata in quella piazza trafficata, camminare a testa bassa, non suonare il campanello con quel cognome elegante, ma entrare a caso e salire di corsa quattro piani di scale e sedermi fuori dalla porta, bianca, e aspettare. O andare a bere una birra in uno dei miei pub preferiti, quello dove una volta dicevo vado a rimorchiare, e nessuno mi credeva. E sedermi lì, e aspettare. Tanto lo so, che prima o poi arrivi.

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Di inizi che non son nuovi, né rose, forse, ma sono.

Gli eventi scorrono fluidi, nel complesso, anche se a chi ci sta dentro non sembra. E’ un po’ come il traffico, che a vederlo da fuori è lento e in costante evoluzione, mentre a starci dentro ti sembra di non muoverti mai.

Percepisco pensieri, li ho percepiti in tutti questi mesi, e dicevano cose che sembravano tutto sommato poco probabili, lontane. Ho scoperto che sono veri, sono sempre stati veri, in un guazzabuglio di altre cose che non avevo previsto, che non sapevo, e che erano vere, anche quelle.

In una serata ho osservato universi diversi, ho incrociato Floris su un pianerottolo, ho visto da vicino le vite di tanti coetanei così lontani, con l’anello al dito e i bambini in braccio, con la fede, dicono così. Ho confessato i pianti e ho osservato, più ad est, dei festeggiamenti che sembravano la descrizione universale della parola ‘coatti’.

Ho fatto capriole tra mondi interiori ed esteriori, ho nutrito il demone invece di mettere la testa di Idra sotto il sasso, ho visto tanto e ho celebrato il mio tornare alla vita con un bicchiere di vino rosso.

Ho tante domande, ma ho ricominciato a vivere. E Roma, come sempre, è il posto più bello per farlo.

‘Come l’ha visto tu, tutto quello che c’era, l’ho visto anch’io ‘
‘Quindi non sono matta’
‘No’
‘E cosa devo fare?’
‘Bella domanda’

Vedi mai una stella cadere
E non ricordi cosa desiderare?
Non c’è niente dentro me, qui a Varanasi
Perché dentro ci sei tu.

Parto.
E’ tutto pronto.

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Born to be blue

When I met you
the world was bright and sunny
when you left the courtain fell
I’d like to laugh
but nothing strikes me funny
now my world’s a faded pastel

I guess I’m luckier than some folks
I’ve known the thrill of loving you
and that alone is more
than I was created for
‘cause I was born to be blue

E’ solo che sono stanca, e affaticata, e mi sembra di non poter sperare più. E mi sembra che non ci sia una fine (anche se i traguardi, quelli belli e quelli attesi, sono vicini). E mi sembra di vedere solo porte chiudersi, anche se so che a parlar così è la stanchezza, non io. Non succede niente di male. E domani andrò a strappare una strada aperta. Perché io lo so, che me la merito.

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La prima volta

Il primo concorso della vita (suppongo) è qualcosa che si ricorda, negli anni.

C’erano i compiti troppo, troppo facili, cosicché se per disattenzione o qualche altro motivo hai una defaillance rischi di giocarti la chance più importante. C’ero io con la valeriana e l’acqua Ferrarelle che, a 2 ore e 45 dall’inizio, ho pensato ‘non mi sono impanicata di brutto, ancora, poteva andare peggio’ (è successo un’ora dopo, ndr). C’erano le polemiche che quelli delle ultime file avessero lo smartcoso con internet e potessero copiare, e la commissione che fa? Dorme, che devono esser buoni. Dorme, che vuoi che faccia?

Insomma non sono soddisfatta, ma neanche tremendamente delusa, e per gli esiti di questa prima prova si deve aspettare dieci giorni e, a giudicare dalla nottata, mi aspettano notti a svegliarmi all’improvviso accorgendomi di errori fatti nel compito, nel bel mezzo di sogni (quasi) rassicuranti popolati di un universo di colleghi, tra i quali il più carino mi trascina in una camera e fa l’amore con me. E il più carino di loro, comunque, a me non piace. E’ che l’universo limitato produce distorsioni.

Domani ci si riprova, altro giro, altra corsa.

L’idea che ottobre debba continuare così, fino alla fine, mi destabilizza assai. Ma almeno è arrivato. E per la centesima volta posso dire, speriamo passi presto.

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Gli epiloghi non servono a niente

Gli epiloghi non servono quasi mai,
danno quella vernice di banalità alle cose che mi mette un sacco di tristezza (forse è per quello che non sono brava a gestirli, le fini e i trascinamenti posteriori).

Bevi birra, tanta, troppa, per evitare che ti tremi la voce al momento del confronto.

E poi sì, ti vedi, ti dai i due bacetti di circostanza, ti ricordi il mio amico? Si certo, come no, era quello carino che ti aveva fatto ingelosire perché gli piacevo, mi sembra mio figlio ma tu pensavi lo stesso che avrebbe potuto piacermi, che ridere. Ammutolisci, io non so che dire.

La tua estate com’è andata?

Dici bene con fare dubbioso, non approfondisco. Mi domandi cose ovvie, riempi i vuoti, e anch’io.

E nel frattempo penso ai posti caratterizzati, come questo, in cui ho messo in atto la piece incontra l’uomo con cui hai chiuso qualche tempo fa senza capirci granché e con cui hai (nella testa o nei fatti) varie cose in sospeso anche dieci giorni fa (e non eri tu). Mi fa anche un po’ ridere, questo.

L’opinione generale è che io abbia vinto, io sono quella giusta, io non sembravo in imbarazzo (stavo morendo, dentro, chissà se te ne sei accorto), io sono quella simpatica e lanciata verso un luminoso futuro (ah, ah). Ma questa patina di insensatezza ricopre anche me.

Insomma, gli epiloghi non servono a niente. Solo a far sembrare uguale a tutto il resto quello che a te sembrava speciale, e prezioso. Perché forse nei fatti lo é, uguale a tutto il resto, quello che ci succede, ma è così bello che possa avere una valenza, a prescindere, per noi che ci siamo dentro.

Gli epiloghi non servono a niente.

Però adesso mi sento più leggera.

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Out of the comfort zone

Piove. Parole nuove e le ho già, quasi, imparate a memoria.
Ho un mentore che si prende cura di me chiedendomi risposte di mezzora in mezzora. A cui pago la colazione e che ringrazio, nascondendomi il sorriso.

Ieri mi sentivo pronta per le chiarificazioni. C’era il sole, però, ieri.

Oggi piove, e dovrò guardare in faccia tutto quello che non è accaduto, forse perchè non l’abbiamo fatto succedere. E il fatto che non l’abbiamo fatto succedere, forse vuol dire qualcosa. Non sono sicura che sarò brava, tremerò, le immagini vicine, ma non divenute, sono tra le cose che mi fanno più paura. E’ per quello che dicono, meglio avere rimorsi che rimpianti.

Metterò un punto, sorriderò. Se ci riesco.
Mi mancherà.

[cielo grigio piombo io non lascio che mi prenda
la nostalgia che sale lentamente come mai
io penso a te mi chiedo adesso dove sei
cosa fai, chissà se tu avrai mai pensato a me]

Sono strane le cose, gli incroci.
Ho i pensieri intrecciati, forse, con un uomo diverso. Proprio io, che dicevo che il chiodo scaccia chiodo è da negare sempre. Ma per ora, questo è un sorriso pieghevole. Ruoli simili, ci consumiamo usandoci per gli stessi motivi. C’è un cielo troppo bello, quando le nuvole non lo coprono, per lasciar passare i treni senza provare a rincorrerli.

[quel che viene venga mi sta bene]

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Everything’s gonna be alright, so no woman no cry.

Guardavo il circolo del tennis che c’è vicino al fiume, a Firenze.
E’ uno dei miei punti di riferimento, nei viaggi avanti e indietro dal nord. Ho pensato che avevo voglia di andare a trovare A., insieme a V., per vedere un po’ di cielo, diverso.

Guardavo passare i treni,
seduta sulla panchina che avevo immaginato. I discorsi si inseguivano e c’era una leggerezza nell’aria. C’erano poche nuvole piccole, che dopo un po’ se ne sono andate, e c’era una luna grande. C’eravamo noi, i discorsi, l’armonica (ah).

C’ero io a cancellare i pensamenti (ri-pensamenti, non sarebbe corretto chiamarli). C’era anche un po’ M., nella mia testa e nelle sicurezze che, nonostante tutto, mi ha dato. In realtà, mi piace la donna che sono diventata.

E tra brutte notizie lontane, dubbi vicini, uniche certezze vittimistiche altrui, paure che non riesco a chiudere nella solita scatola, pensavo, alla fine andrà tutto a posto. Le cose vanno come devono.

Ci sarà per noi un angolo pulito
 in un mondo di mercanti dove il meglio l’ho rubato

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