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Switzer la la land

This is it. 

Ho preso quel volo e caricato tanti bagagli. Le lacrime in aereoporto e il “che cosa ci faccio qui?” di sottofondo per tutto il giorno uno. 

La nostalgia canaglia, quella ancora non è arrivata.

Ma lo so che mi mancherà tutto 

Le tue braccia
La mia scrivania
I pomodori
Il lavoro
Te

E cerco di immaginare i modi possibili, che forse li troviamo

Sometimes you need a challenge

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Coraggio (e occhi bendati)

La verità è che certe decisioni non si possono prendere senza strappi. Soprattutto se perturbano una quotidianità che mi somiglia tanto, forse più che mai. Saranno i trenta dietro l’angolo o i traguardi che stanno sopraggiungendo senza che li abbia metabolizzati completamente. 

Sarà che questo nostro è un grande amore. Non di quelli nascosti o idealizzati, un amore di sveglie la mattina quando hai sonno, disordine, lavatrici rotte, stanchezza e qualche ansia di sottofondo. Ma anche di successi condivisi e piani da non pronunciare mai (neanche sotto tortura): uno vero, in effetti. Un amore che mi protegge e mi riscalda, comunque. 

Quella dei treni che passano una volta sola è senza dubbio una visione retorica della vita, ma ogni tanto capitano delle opportunità da cogliere. E dunque si parte. Anche se per poco (quanto è poco?), si cerca una nuova casa, si parla una lingua che avevo quasi dimenticato, si guardano nuove cartine, ci si preoccupa oltre la soglia di guardia (io sono fatta così). 

Non andrà tutto bene, ma alla fine andrà bene. 

Finalmente, ho fiducia. 

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Foggy

Partiti da lontano
E di colpo arrivare
Ad essere contenti
Ma il colpo era forte
E le note non erano giuste
E senza vincere niente
Senza partecipare
Rincorriamo le notti
E torniamo a dormire
E le mani più grandi
Dei tuoi sogni dispersi
Dentro cassetti vuoti milioni di versi

Un anno pieno è agli sgoccioli, ma cose importanti devono ancora succedere o stanno succedendo ora, a qualche centinaio di chilometri da qui. 
Un’altra volta su un treno, attraverso la mia pianura, e ho le lacrime agli occhi, mi bruciano. (Cambio di soggetto, oggettivo).

Doveva essere un Natale di letargo e invece no, ancora a spaventarsi (non troppo, si dirà), ancora nei giallini corridoi d’ospedale del nordest. Ancora ad esser roccia ed avere bisogno di scivolare via. Felice del ruolo ma stanca, stanchissima. Dicevo “qui si lamentano tutti di questo anno di merda e io invece mi sento grata”, ed è ancor più vero ora. 

E ho passato la vigilia a piangere senza riuscire a fermarmi, di fronte a uno di quei film di Natale degli amori incompresi e le occasioni perdute. Forse era sollievo, che sennò altro che piangere, mi sarei incazzata da morire. 

E parte il treno dalla mia stazione, e in un attimo siamo nella campagna nebbiosa, con quel sole pallido, e i filari d’alberi, e mi si annebbia la vista e piango un po’. Sollievo ancora, e paura di perdere, che cerchiamo di convertire in prospettive e modi più costruttivi per me, per noi, per tutti. Perché è così che si va avanti. 

Ci ricorderemo i regali di Natale con niente in cambio, le vicinanze inattese, chi supera gli ostacoli e pure chi cementa le barriere. Ma noi costruiamo le tribù. La mia è altrove da questo orizzonte piatto, altrove dai luoghi dove sono cresciuta, e forse per questo mi lascia respirare. 

Ed è confortante, a volte, che la storia si ripeta. 

Buon anno. 

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E tutta la vita gira infinita senza un perché 

Mainstream
E sottotono 
Ripetitiva e
Anche un po’ spaventata
Di questo passo che mi accingo a fare

Come se dopo mi attendessero meno scuse del previsto 
Come se stesse per cambiare tutto

Devo sforzarmi di ricordare che ogni passaggio è una scelta
E allo stesso tempo, accade e basta
Che ogni persona ha un percorso a sé 

Che la vita non è meritocratica 
L’amore non è meritocratico

Che cadono le case e le chiese e forse bisogna solo accettare, anche se non si capisce

Possiamo ricordarci di ringraziare perché siamo fortunati 

E scegliere di essere incoscienti, forse

A un’estate leggera che qui ancora, ancora non c’è 

Sta finendo, e già i nuovi inizi arrivano
Mi sento fortunata

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Learn to fly

A te che dici che l’entusiasmo ti fa schifo
Un po’ lo so lo immagino

Che la vita le cose il caso ti hanno rovinato le felicità possibili

Ti ci vedo a fare finta di niente 
Ad essere quello che con la fiducia e un amore strano e storto (come tutto)
Teneva in piedi la baracca 
Ti ci vedo a veder franare tutto e a dire che la vita è così
E non poter piangere perché sei razionale
E oltretutto, un maschio

A me che penso con gioia alle mie giornate 
E sto riempiendo il cassetto di sorrisi per quando girerà peggio

E’ capitato anche a me di avere qualche felicità in cocci

Ma ci ricostruiamo
Anche se non mi è chiaro come
Funziona 

Forse la risposta è che il limite è sempre
Molto più lontano di quel che si crede

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Beginners

Dei filtri, 
Dei non detti,

Del presente informe del futuro incerto
Del caldo che ci scioglie e addensa i pensieri
Come melassa 

Di me che imparo tutto velocemente
Tranne come si smette di essere spaventati
E se c’è un modo non ho capito

Mettiamo (pochi) punti 
E proseguiamo
Chissà se da questa strada si arriva al mare?

What do you want was never answered then some things were handed out
We got weird and fake instructions but somehow we planned around

Oh, then we got all nervous, baby, I don’t have the heart like you
And so we listened now if nature were just loud enough and ran
And I know I shouldn’t be here but I want to be your man
Suddenly I’m lost but I just want to be a part of true

So suddenly we are gone
Looking out for some wave
You and I, we belong on these wild and wonderful trails

You’re just a singer wanting silence, I just have illegal thoughts
I will kill you if I take you but now this is not enough
Oh there will be a moment when I ask you to believe in love

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Walkin’ with a fortune teller

È forse nell’assenza che la forma ha la sua più precisa definizione
È nel vuoto e nella pausa che si distingue il vero spessore
Ed è quando non ti vedo che assumo che tu ci sia
Anche se non distinguo bene i contorni delle immagini

C’erano momenti in cui sentivo il rumore delle fontanelle
In cui descrivevo certe luci ed un certo colore
Non davo un nome alla mancanza
Ma certificavo la mia precisa posizione

Ora no
Ora non so
E che bel regalo questo, mio essere gentile,
Con i silenzi e lo smarrimento che non svanisce
Così normale e così magico

I opened up I let you in
I’m walking with a fortune teller
I can’t see my own way home
But I don’t like this dark road any more
And I don’t wanna be alone for long

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Apartment story

Comincio a pensare che ci sia uno spazio
Per il riconoscersi dei tratti peculiari
Per un bacio quando vorresti dormire ancora
Per una porta che apri tu, quando sai che mi manca l’equilibrio
Per ripetere le cose che hai già detto
Per peccare di ingenuità
Farsi riconoscere dai baristi
Essere corrucciati e accorgersi comunque di chi hai a fianco
(Che poi è la cosa migliore, la migliore di tutte)
La solidarietà per le persone goffe
Ah volevo ben dire

E quindi metto i chilometri tra me e i pensieri
Lascio le sensazioni a decantare
Me ne vado nella pianura
Nella casa piena di risate, due anni dopo
A vedere che succede
Ché le cose belle, se sono vere, ti aspettano
(Un po’ come noi)

So worry not
All things are well
We’ll be alright
We’ll have our looks
And perfumes

Perché a me gli amori imperfetti mi commuovono
Da sempre, eh.

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A Sunday kind of love

Ci siamo innamorati durante l’inverno più caldo degli ultimi vent’anni.
Non l’abbiamo detto ed è andata così, un ripiegarsi di distanze e le stesse note di incredulità e paura.

E io non mi guardavo più allo specchio, ma penso che se avessi potuto, se l’avessi fatto, ci avrei visto i miei sorrisi da bambina in un negozio di cioccolatini.

Dicevamo il contrario di quel che era, e c’erano giorni e desideri e la naturalezza di un’intimità che già conoscevamo.

Era l’inverno più caldo degli ultimi vent’anni, non ne avevo memoria, ma forse era quello il motivo della gioia.

Il primo giorno di primavera era notte alle otto di mattina
Gli uccellini cantavano
Io mi ascoltavo per la prima volta
E non era mai stato così difficile
E insieme così facile

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You don’t think before you jump

C’è chi lo sa fare, di non fare programmi.
Di vivere alla giornata, di cogliere il meglio.
Io ho la pianificazione nelle fibre del corpo (genetica o epigenetica? Questo il dubbio), e di sicuro con l’incoscienza non sono a mio agio.

Così come coi recinti: non mi piace mettere i paletti e finisco per lasciar passare tutto e tutti, schiacciandomi per farmi bastare lo spazio che resta. Ma nei recinti da me per me, in quelli sono anche troppo brava a stare.

Non sono brava a tenere i fili col passato, e la pianura padana, che tanto amo guardare dal finestrino, mi soffoca dopo pochissimo (specie in questi giorni, che la nebbia e lo smog e la siccità signoramia). Sul treno ricomincio a sorridere, e mi accorgo dei ruoli che attribuiamo ai luoghi più che alle persone. Ma così va quasi bene, spero.

E così vorrei augurarmi queste cose, per l’anno nuovo. Una lieve incoscienza, per lasciarmi accadere tutte le cose belle e impreviste possibili. Un abbraccio che contiene, che l’amore non mi soffochi. E fare pace con le radici, lasciar andare ciò che ero. (Per dire anche, senza sentirmi una sradicata, io alla cena dei dieci anni dal diploma non ci vengo).

Le zavorre le abbiamo salutate con la mano da lontano, anche se mancano un po’.
Qualche no l’abbiamo detto.
Si può dire un bilancio discreto, tutto sommato.
Possiamo cambiare calendario.

Buon anno.

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