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Missing you

Quando sento una canzone nuova e non so se vale o no
Quando mi succede una cosa bella e inaspettata
Quando ho paura di non essere abbastanza
Quando mi accorgo che non mi ricordavo quanto le persone sono sceme (soprattutto i maschi)
Quando penso a Roma
Quando prenoto un aereo
Quando Spotify passa il rap
Quando sento profumo d’erba
Quando ho voglia di fare l’amore
Quando vedo i post di Zoro su Instagram
Quando sento rumore di rotelle sull’asfalto
Quando mi vorrei comprare una giacca col cappuccio
Quando faccio colazione al bar

Quando sono triste e divento un po’ più triste. E anche quando sono felice e mi ricordo dei sorrisi.

Sono arrivati i trenta, è arrivata la primavera (oggi, sembra, anche qui).

E sto
a domandarmi se i buchi poi si riempiono

se non fosse che ci sono già passata

mi sa

mi preoccuperei
ad accorgermi che (incostantemente, ma continuamente)
mi manchi.

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Stai tranquilla

Non ho più parole (credo)
vivo in uno stato un po’ così
di inquietudine e di dubbi e di aprire le porte e far entrare il vento,
ma in senso brutto

Sbattono le finestre della mia testa e della mia anima e io
(ancora una volta)
non riesco a lasciare fuori il vento

Sono ferma
in trappola forse
in ansia di sicuro
in una parola, in Svizzera

Andiamo a Milano in gita
che chi l’avrebbe detto, poi
che Milano mi sarebbe sembrata così?
È bella Milano
col sole i grattacieli
con la gente che si sente al centro del mondo

E di sicuro non è vero
ma almeno il resto del mondo esiste, a Milano

Mio malgrado mi scopro dalla parte sbagliata delle cronache
di quelli che vogliono solo tornare a casa
nonostante tutto ciò che ne deriverà, senza dubbio

Voglio un’occasione per me
ma rivoglio la mia luce
rivoglio la mia casa
rivoglio la mia rete e la vita fino a tardi la sera

Mi preparo a combattere
con una stanchezza al via
che non mi aspettavo e non so

Qualcosa mi consuma

Scusa
Non riesco a stare fermo
Ma per favore
Non mi dire stai tranquillo
Che tranquillo non sono
Perché se cerco e non trovo
Io mi agito

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Il silenzio intorno

Il mare è il mio posto preferito

E mi riempio gli occhi di queste acque blu e verdi, e questo sole e questa sabbia chiara, e gli scogli levigati dal vento

Di quest’isola che fa innamorare 

Mi rimane il silenzio intorno
Il rumore delle onde leggere 
Le chiacchiere di sottofondo

Mi rimane un buco nero nello stomaco
Un po’ di nebbia nel cuore

La confusione di tanta gioia cancellata dal calendario
(Io qui a piangere, tu a Roma a vomitare, in una perfetta sintesi del trash)

Non è chiaro a che serva tutto questo
Non capisco se è solo uno sbuffo di vento o se sarà scritto così 
Che io sto senza di te e soprattutto tu stai senza di me
In una privazione preventiva che non comprendo ma mi sforzo di accettare

Mi rimane il silenzio intorno

Lo cerco, e mi riempio gli occhi di blu
Pensando a te, cercando di no
Cancellando domani dal calendario

Il silenzio intorno 
Finché si può 

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Walkin’ with a fortune teller

È forse nell’assenza che la forma ha la sua più precisa definizione
È nel vuoto e nella pausa che si distingue il vero spessore
Ed è quando non ti vedo che assumo che tu ci sia
Anche se non distinguo bene i contorni delle immagini

C’erano momenti in cui sentivo il rumore delle fontanelle
In cui descrivevo certe luci ed un certo colore
Non davo un nome alla mancanza
Ma certificavo la mia precisa posizione

Ora no
Ora non so
E che bel regalo questo, mio essere gentile,
Con i silenzi e lo smarrimento che non svanisce
Così normale e così magico

I opened up I let you in
I’m walking with a fortune teller
I can’t see my own way home
But I don’t like this dark road any more
And I don’t wanna be alone for long

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Last time I felt this way

Calpestare ricercare
Arrabbiare increspare
Ridere desiderare
Abbracciare spaventare

Felpa piumone
Lacci sapone
Caffè sigarette
Iphone cocacola

Stranezza
Curiosità
Sicurezza
Tenerezza
Nostalgia

E finestre aperte
E porte, e portoni

A un passo dal possibile
A un passo da te

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So much light

Perché mi sento sempre ferma?

Con il fiato corto, i polmoni in fiamme, le tempie martellanti, gli occhi che bruciano.
Ho mal di testa e mi sento ferma.
E insieme, mi sembra che la vita mi scorra via, sfugga. Di non determinare abbastanza, mi sembra.

Chi lo sa se questa è l’abitudine alla quiete o un sintomo, o saggezza, o necessità di cambiare qualcosa? Non io.

La percezione è distorta e la nostalgia è il voler tornare a tempi non trascorsi, a luoghi da desiderare.

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13 luglio 2015 · 6:13 PM

Aiuto, affogo.

Mi hanno detto che non devi nuotare quando hai i pensieri.
E dire che se sono arrabbiata funziona benissimo. Una bracciata dopo l’altra, mi si staccano di dosso le frustrazioni, si scioglie la tensione, dimentico l’ardore di litigi e malcontenti.

Ma se sei triste il marchingegno non gira più. L’acqua non alleggerisce, ti manca il respiro. Hai solo voglia di andare a fondo, o di far finta di farlo, per un attimo. Di appartenere per un minuto solo a quel mondo ovattato in cui non si sente nulla, se non quel senso di protezione primordiale.

Aria, bolle, aria.
[e quanto mi aveva fatto piangere, quel film]

Se avessi qualche anno di più, mi farei abbracciare da F.
Che è così pacato, e sereno, e solidale. Che medita, e sa mettere in fila le parole in modo così rassicurante da rendermi malinconica, e quasi nostalgica di familiarità mai provate.

Se avessi qualche anno di meno, riuscirei a guardare con leggerezza un altro F., che ha gli entusiasmi e la ruvidezza di un’altra epoca. Purtroppo. Ed ha una luce negli occhi che non si spiega con le parole.

E invece sto, nel mezzo, inavvicinabile. Non mi faccio abbracciare.
Non mi faccio consolare, anche se vorrei.

Mi viene da piangere ma devo lavorare.

Bisogna farsi forza (senti come suona bene?)
(cit.)
(…e grazie, di aver capito)

Sarà l’autunno.
Sarà l’autunno?

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…a love that keeps me waiting.

Mi manca la sicurezza. La sensazione di sapere che quando parli qualcuno riderà e ti darà un bacio, anche se hai detto una stupidaggine. Quella cosa che ti fa respirare un po’ più leggera. Mi manca un po’, una radice, mi manca. E spererei in un universo fatto di reti, come aveva detto V. tanto tempo fa, parlando d’amore. Quanto mi aveva fatto incazzare, quel suo anarchismo ostentato, ricercato ostinatamente. Quel tratto idealistico che mi aveva fatto innamorare di lui tanto tempo prima, da un certo punto, com’è ovvio, forse, era diventato intollerabile. E invece eccomi a ripetere le sue posizioni, da una distanza siderale.

E mentre sto qui a proclamare idealismi, e a parlare, ancora, di mancanze, mentre piove, e si è rotto il computer, mentre faccio tardi all’università perché penso che se mettessi piede a casa crollerei addormentata come Aurora, mentre tutto questo accade, sento un po’ le mani che tremano, e aspetto un appuntamento. Mentre ripenso al film che ho visto e di cui avevo già letto, che mi ha fatto pensare tanto ad A., alla (mia) sua mancanza, e anche un po’ ad M., e ai miei uomini scapestrati, sento un po’ le mani che tremano e aspetto un appuntamento. E mi impongo l’annullamento delle aspettative ma anche delle paure. E sono un po’ orgogliosa di me, metto il rossetto e sorrido. Stasera proviamo una cosa nuova.

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Tre giorni fa.

Ho tolto dalle posizioni del Finder le cartelle che si chiamavano ‘tesi-qualcosa’.
Sì, c’è voluto un po’ di tempo. Come a riordinare la mia stanza dal caos semestrale che l’aveva invasa (non ho finito, peraltro).

C’è chi è nella mia vita da poco ma è riuscito a farmi incazzare come non accadeva da tanto tempo. E questo chi  non si è ancora accorto che farmi incazzare con una certa durevolezza, a me, a cui dopo cinque minuti la luna storta passa, volente o nolente, non è cosa intelligente né lungimirante. Almeno avrò una valvola di sfogo.

Il mio mese di vacanza è stato un susseguirsi di malsanie e di sentirsi fuori luogo, visite a case in vendita e cercare di stare al passo – concedendosi deliberatamente (questa sì che è una novità) di non riuscirci.

E’ un momento di passaggio strano, la fuga dei cervelli (o dei cuori, in qualche caso) mi sta portando via le colonne portanti della vita, e io, che non son brava con le distanze né con la caparbietà, se riguarda le persone, ho molta paura di perdere pezzi senza saperli riconoscere né tantomeno (e forse questo è bene) rimpiazzare.

E così mi succede di parlare con le persone e di sentirmi su un altro emisfero rispetto a loro, sempre, ma gli emisferi dovrebbero esser solo due e mi sembra statisticamente improbabile che tutti gli altri si trovino (tutti insieme!) dall’altra parte. Quindi sostenuta dalla logica matematica inappellabile del discorso sono arrivata alla filosofica idea di un mondo fatto di infiniti emisferi.

E non vorrei star qui a teorizzare queste cialtronerie, io, vorrei una rete di persone che ti aggancia e non ti lascia scivolare via, io, e in parte ce l’ho pure, è che certe volte gli eventi ti sorprendono e non sei pronta e se anche le cose belle ci sono, tu le vedi poco.

E ti rifugi nell’unico luogo sicuro che è rimasto a parte il salotto di casa nel nordest, e l’unico luogo sicuro è paradossalmente quello che è stato causa del maggior male, in questo duemilatredici.
‘finirà pure, questo cazzo di duemilatredici’
‘eh’

E ti trovi in un abbraccio che sa di un emisfero simile, se non lo stesso, ma non può esser questa la sola ragione per continuare a stare in questo limbo, tenendoti un alibi in tasca per quando non riesci a buttarti, quando stai ai margini, e guardi da lontano senza fare nulla (come se servisse, un alibi).

‘a me non mi sembra proprio di avere venticinque anni’
‘perché?’
‘ho vissuto troppo poco, non posso avere già venticinque anni’

Non può essere un bacio a salvarci, magari una scelta, il coraggio di una decisione, magari quello sì, ma se le cose stanno così, se questo porto sicuro (e non sono solo io, a percepirlo come tale) non vale abbastanza, è ora di mettersi il cappotto nuovo. E andare fuori.

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Amor particolare.

Primavere autunnali si definiscono a partire da aggettivi con qualche pretesa di troppo.
Ne sono innamorata in un modo tutto particolare
mi dice B., condividendo riflessioni su skype condite di videochiamate saltellanti.

E io che ne so, che ormai mi sento come una vecchia saggia consigliera, dall’alto del mio eremo che consente una lettura distaccata degli eventi. Che ne so, che mi sento un maglione di quelli da casa, quelli morbidi ma di colori orribili, che li metti pure se hanno i buchi perché ti fanno compagnia.

Io che ne so, dell’amor particolare, mentre mi sembra che tutti e tutte caschino nella rete e si sentano gli unici al mondo, quando sono tanti, e io lo so perché li vedo, li guardo, per la strada, sull’autobus, sulle scale dell’università, sono tanti e sono tutti, meravigliosamente, uguali. La luce negli occhi, e i baci e la comprensione, più di tutto. Io che ne so, neanche mi ricordo che vuol dire, quell’abitudine di un corpo vicino al tuo, la comunicazione non verbale, l’intimità.

Sto, osservo, tengo tutti a distanza e mi sento goffa e onnipotente allo stesso tempo, ché se volessi tutto potrei, il problema è che non voglio.

Quello che voglio, in realtà, è prendere il tram e scendere alla fermata in quella piazza trafficata, camminare a testa bassa, non suonare il campanello con quel cognome elegante, ma entrare a caso e salire di corsa quattro piani di scale e sedermi fuori dalla porta, bianca, e aspettare. O andare a bere una birra in uno dei miei pub preferiti, quello dove una volta dicevo vado a rimorchiare, e nessuno mi credeva. E sedermi lì, e aspettare. Tanto lo so, che prima o poi arrivi.

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