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Keep on moving

Comincio a inscatolare, esorcizzando il passato, rimuovendo partenze attese, nella gioia della libertà collettiva, l’unica sensata, concessa dal vivere e lasciar vivere.

Leningrado all’orizzonte, e non solo all’orizzonte. Intorno, sopra, sotto, davanti. Avvolge, la metafora giusta, promette momenti felici e modi di stare concretamente, meravigliosamente libertari.

Con N., la metafora giusta, arriva anche la pacificazione (finale?) con il mio modo di stare al mondo, che altri e altre apprezzano da tempo più di me. Non si può dire che io sia stata ferma, in questi anni, ribollendo ripensamenti nati da strappi antichi. Ma il senso dei percorsi, anche quelli compiuti in prima persona, è difficile da esplicitare, mettendo una parola dietro l’altra. A volte solo un osservatore esterno può regalare il punto di vista giusto.

Inscatolo e tossisco la polvere dei quattro anni passati qui. Questo è il posto che, più di tutti, ho chiamato casa. Ma ora mio fratello e mia sorella sono lontani, ed è giusto sperimentare altri modi, altre vie.

E mentre scrivo libri, scarpe, bricolage e altro col pennarello rosso, e amici berlinesi dicono su skype “mi sembri positiva”, sono insieme curiosa, esaltata e serena.

E’ il momento di andare avanti.

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Stasera andiamo a Monti

Mi hanno detto che chi rompe le cose sta attraversando un periodo di transizione. Chi me l’ha detto ha aggiunto, io rompo tutto, sempre, quindi si vede che sto vivendo dei cambiamenti. Non smetto di non sentirmi compiuto. Chi me l’ha detto è una delle persone più importanti della mia vita, che adesso c’è, nel senso che esiste fisicamente ed ha memoria -credo, spero, ritengo- di tutto quello che insieme abbiamo vissuto, ma non è la stessa persona. E non nel senso banale ‘il tempo passa, non stiamo più insieme, l’intimità sparisce, risucchiata da chissà che spazio delle emozioni invecchiate’. Vedere V. e raccontarci è sempre più difficile, perché, insieme, siamo il compimento delle divergenze. Quelle che qualche anno fa ci hanno fatto separare, ed ora ci fanno dire se sei felice e sono felice, va bene così. Anche se V. è anarchico fuori e moralista dentro, quindi non lo so se secondo lui davvero, va bene così. Ma forse sì.

Vedere V. è sempre una trappola mortale, la stranezza mi abbraccia e mi resta addosso per un po’. E’ difficile da descrivere, e magari penso di essere la sola con questa percezione strana degli eventi. E invece magari non lo sono, ed è solo un banale farsi tornare in mente tutta la meraviglia e la bruttura, e la pesantezza e i sorrisi, di un amore finito da tanto.

Ma d’amore si vive, come diceva un vecchio documentario che D. mi aveva scaricato e masterizzato su un dvd. D’amore ci vivo, io. E bacio gli amici e concedo possibilità, e mi nego e rido e, a tratti, penso di non essere mai stata così consapevole e serena. E questo è un regalo del nuovo anno.

Stasera andiamo a Monti. Che Monti non mi piace, e non ci vado mai, quindi non incontreremo nessuno e potremo trovare un angolo di Roma per noi, per capire se c’è ancora spazio, se ci stiamo cambiando i ruoli, se ci diamo più gioia o ci facciamo più male. Per capire se anche noi siamo quello che descrivevo, un amore finito da un po’ (incompiuto, però) o se siamo ancora un lavoro in corso. Mentre mi metto i jeans nuovi e mi sento felice in mezzo ai miei amici, mentre mi sento di nuovo al mio posto, nel mondo, e non so se qui ci sei, tu, oppure no.

Che bello, questo anno nuovo.

 

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Che gli scienziati siano belli non è opinione di molti

Mi è accaduto di giungere, già brilla, ad una riunione di amici di geografie passate, che festeggiavano una laurea (anzi, tre). Io non c’ero dentro, al giro, i celebrati li conosco solo da qualche mese, ma a tratti percepisco con uno di loro quell’intesa improbabile che ogni tanto scatta con qualche persona che mai diresti se la potrebbe intendere, con me.

Li ho osservati interagire, un gruppo di venti e più trasportato a San Lorenzo da lidi molto più piccoli, nordici, familiari. Li guardavo da fuori, pensavo che era bello, che ci fosse questo universo inatteso, tante persone che avevano preso un treno alle sei di mattina e si volevano vedere Roma, oltre a festeggiare i loro amici. Quelli che tutto va bene, come quando i miei amici son venuti a trovare me, dal nordest, ed era il primo anno che stavo qui, quando ancora baciavo tutti, per tenere radici un po’ ovunque.

E’ più di tutto alle radici che pensavo, all’angolo, mentre si brindava, si cenava, si scartavano i regali. Mentre mandavo messaggini improbabili e sbagliati (e ottenevo risposte prevedibili, e altrettanto sbagliate). Pensavo alle transizioni come quella che sta accadendo a me, che ho iniziato a esser pagata per fare quello che ho fatto nell’ultimo anno. Pensavo a me che chiamo agenti immobiliari per cambiare casa. Pensavo alle prospettive, a dove vivrò tra vent’anni, ad un amore che magari troverò, a un certo punto, e rimarrà, a qualche amore che ho perso, ai figli, alla fortuna che ho ad avere i genitori che ho, alle esposizioni est-ovest e ai divani fatti con i bancali verniciati, con le rotelle. A Leo che è un’ispirazione, e sorride, e mi dice da genitore ti posso dire (e improvvisamente mi fa realizzare che ho un’amica con un figlio), a V. che ha una storia da nove anni e di anni ne ha ventisei, ché ci sono ancora, quelle situazioni così, delle coppie longeve e belle, ce n’è una in ogni giro di amici, e gli altri li guardano e non sanno se essere felici, o strani, ma sicuramente non capiscono.

Ti penso. Stanno cambiando tante cose… e mi manchi un po’
Anche io ti penso spesso. Tante cose in meglio?
Direi di sì, ma c’è tanta stranezza e confusione. Comunque in meglio, sì.
E mi manchi un po’.

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The times they are a changin’

Domani è un altro giorno,
e non ci dovrei pensare, a queste cose.
Ma ho risentito quella canzone , quella del titolo, e ho avuto un brivido prima di rendermi conto che, in qualche modo strano, e ironico, poi, era la canzone mia e di A.

E ho riavvolto il nastro degli ultimi sei mesi, così, in un secondo, e ho avuto un brivido di gioia.

E poi, A. è di nuovo vicino.
Da pochi giorni, da quando per l’ennesima volta ho voluto abbattere un muro e avvicinarmi. Alle evoluzioni ci penseremo.

Stasera vale ancora il principio secondo cui ho fatto tutto quello che potevo, per ora, al meglio delle mie possibilità. (Ed è stato un buon meglio, per ora).

Quindi mi concedo un minuto di gioia, anche se appartiene ad un tempo diverso, ad orizzonti diversi. Per certi versi mancanti, anche se più felici.

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Prospettive [di me che rubo titoli, istantanee, passato e desideri]

E’ che guardavo dalla finestra vicino a cui scrivo, e vedevo il pratino di Lettere. E vedevo le persone passare, vestite come si può in questa fine estate, di canotta e maniche lunghe che anch’io tiro fuori dall’armadio con soddisfazione, come se cancellassero un po’ la mia estate, che non è stata, e quella degli altri, sfavillante o mediocre, comunque lontana da qui. Come se coprire un pezzo in più di pelle abbronzata, collettivamente, eliminasse qualche mese, come se cancellasse in me la fatica di un agosto a stringere i denti (letteralmente, oltre che nella metafora), come se potesse fornirmi una riserva di energia.

Guardavo gli alberi e le ragazze sedute sull’erba, ricordavo discorsi che ripercorro in testa come se li avessimo fatti ieri mattina, e invece erano mesi fa.

[Ma mi son mai ricordata qualcosa così bene, io?]

Il passato che non era il mio ma di cui inanellavo aneddoti per costruirci sopra una prospettiva, in due. Inconsciamente, deliberatamente, follemente.

Guardavo il pratino e pensavo che a un certo punto dovrò farci i conti, con questa nostalgia canaglia, che anche se mi riempio la testa e i giorni, anche se metto tante parole in fila per convincere (e convincermi) del contrario, non se ne va.

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Assenze [Facebook e altre storie]

Lo so che sono anche un po’ monotona,
che parlo dei vuoti che sento e della determinazione che mi trascina, unica consolazione, in questi giorni appiccicosi, pagina dopo pagina, alla fine della mia settimana di scrittura e all’inizio della concentrazione per il primo degli ultimi sforzi.

Sveliamo un segreto dello stalking su Facebook. Io non ce l’ho, Facebook, né account finti né password di amici, amiche, ex ragazzi. Niente social per me. So che mi farebbe male, non è nelle mie corde, non mi va di rendere possibile ai più di rintracciarmi solo con nome, cognome o semplici relazioni sociali scontate, per esclusione. E so che alimenterebbe le mie tendenze comunicativamente sovraccariche. Niente social, anche se ne riconosco l’utilità, l’immediatezza e la talvolta la poesia, ma la mia rete esiste al di fuori di essi, per fortuna.

Però ci sono le assenze.

E io sto qui, in quest’estate un po’ merdosa, evitando il cibo precotto perché fa trentenne single ed è triste, crogiolandomi nella paranoia dell’alcolismo incombente in omaggio alle mie radici venete. Bevo una birretta e cerco nomi noti su Facebook, e osservo i loro segni di vita quando decidono di cambiare l’immagine copertina o l’immagine profilo, così si dice, credo.

Certe volte trovo tracce di cose che conosco, un commento di un amico, o di una cugina, come stasera. E allora prima sorrido perché mi ricordo delle presentazioni ufficiali, poi mi viene il magone, il nodo alla gola del non saprò più niente di loro, e poi mi viene la tristezza in loop perché penso di non essere stata abbastanza importante, nella vita delle mie ultime persone, per essere ricordata dai soggetti che io ricordo, spiandoli su Facebook. Gli amici e la cugina, ad esempio.

Io sono un’altra questione, io mi crogiolo nei ricordi e nelle rielaborazioni, io mi ricordo anche Fernando, quel portoghese di quella notte al campo scout (giuro, tutto vero: portoghese, una notte, campo scout). Chissà se lo troverei, su Facebook. Cla e gli interrogativi, dieci anni dopo il mondo.

Stasera è un po’ così.

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All love

Cammino di notte,
mi accorgo sorridendo di come luoghi che prima mi mettevano a disagio siano diventati il mio paesaggio quotidiano. Bevo birra e mi guardo intorno, quando sono in compagnia, dalla mia nicchia privata. C’è questa nebbia degli amori che se ne vanno, un po’ fa schifo ma ci cammino attraverso perché so che a un certo punto, semplicemente, sparirà. Ho un’altra attitudine, oggi, sono cresciuta e ho meno cose da dimostrare. Quindi perseguo i progetti, mi attengo ai piani e alle cronologie, scrivo e cancello messaggini che non ho il coraggio di inviare. Tornerà, il coraggio, ora lo so che succede così. Non ho più bisogno di essere consolata.

I miei posti li riconosco perché ci passo e mi vengono in mente tante cose diverse che ci sono successe, belle e brutte, tante da farli diventare neutri. Ma sono miei, prima di tutto.

Scrivo un’email ad A. perché gli voglio bene e glielo voglio dire.

Per tutto il resto, ci sarà tempo.

E penso che ci sono stati mesi pieni di bellezza, e anche adesso ne sto riempiendo i giorni, anche se non me ne accorgo perché sono sotto pressione. Però ci sono stati giorni di tanto amore, un sacco proprio, declinato in tanti modi diversi.  E anche questo ricostruirmi è amore, un po’ è quello che ho lasciato andare, un po’ è quello per me. All love.

Un piede davanti all’altro,
è questa la giusta direzione.

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Ricordati di me

Soffoco tra i conti e cerco di schivare i pensieri che non hanno risposta.
Per un po’.

E poi ascolto Coez,
e mi viene la ridarella a pensare che, dopo mesi, ad un anno dal nostro primo scambio (che mi vide vincente come mai, mai nella storia), sento Coez e penso a me e M. E vorrei tanto poter assecondare la mia spontaneità (ma sarà esclusivamente mia la spontaneità che, alla fine di una storia, mi fa cercare approvazione da quella precedente?) e scrivergli oh, nella mia testa lui canterà sempre di me e te. Ma le conseguenze. Ah, le conseguenze. Quindi per ora rido e basta. Nella mia camera, da cui non esco neanche per mangiare, negli ultimi giorni. Nel mio bozzolo, rido e basta. Come dicono le mie amiche, la storia deciderà come andranno le cose e ci sarà un piccolo lato positivo, in ogni caso. Perché lui sta con un’altra, ma aspetta solo un cenno, da me. E io ho bisogno di vendicarmi con la collettività. Solo un po’.

…alle volte per essere buoni non basta essere forti.

Ecco, appunto.

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The second time around

Love is lovelier, the second time around
Just as wonderful, with both feet on the ground

Ho grandi progetti per quando sarò uscita da questo limbo di attesa, da questo mio aver paura di non essere all’altezza delle aspettative (mie). Grandi progetti per me e solo me, che si rifletteranno sulle mie persone, in buono.

Tutto lo spazio di cui parlo – che analizzo, che elaboro, che mi fa anche sorridere, in parte – ecco, tutto questo spazio, è arrivato il momento di sperimentarlo e viverlo. Adesso, partendo dalle certezze che ci sono. Che mi fanno essere contenta e mi hanno regalato, oggi, il pomeriggio del mese. Che mi danno il coraggio di chiedere, di scavare in qualche crepa dei muri che hai intorno. Rido sempre, con te, rido forte. Ridere è liberatorio e, per me, è anche una sfacciata dimostrazione di sicurezza. Che è una delle cose che questi miei giorni mi regalano, che mi regali tu.

Nei prossimi giorni sarà di nuovo ora di travestimenti, di fotografie, di ore rubate agli obbiettivi e restituiti alla vita (qui-e-ora). Perché i progetti sono una spinta, ma ‘se ci fosse una catastrofe i rapporti si stringerebbero di più, tutti si vivrebbero le cose con più intensità, il benessere porta accademia. E distacco’.

Penso ancora a V., anche se sono passati due anni. Non credo smetterò mai, è una parte di me ma non esiste più, e al contempo è viva e presente, nella memoria. Le treccine sciolte e lui che mi chiamava Er Cipolla per i capelli crespi, sulla nuca. E oggi ho visto M. con la maglietta di V., quella che mi aveva portato da Genova, quel giorno che abbiamo visto Milk al cinema e mi ha detto che mi amava. Le sovrapposizioni mi rendono eccessiva, in questi sentimentalismi. Ma sono parti di me così forti che decidono da sole di fissarsi qui, tra le parole.

In mezzo a tutte queste cose
penso di essere felice.

well I’ve tried so hard baby
but I just can’t see
what a woman like you is doing with me
so tell me what I see
when I look in your eyes

is that you
baby
or just a brilliant disguise?

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Però era più facile

Però stare da sola era più facile,
disporre del mio tempo e non sacrificarlo all’altare di nessuna causa non fosse decisa al cento per cento da me, programmare le serate in funzione degli uomini che volevo, seguire il particolare. Le relazioni, le mie amiche, il silenzio senza aspettative. Era più facile non dipendere nell’umore e nel modo di vedere le cose da com’è la giornata di un’altra persona, era più facile non aspettarsi niente. Era più facile sentirsi una passante, intrecciare il mio corpo con qualcuno di poco noto, il brivido dell’ignoto, il se non mi vuoi per stasera me ne trovo un altro.

Mentre sto qui aggrappata alle sensazioni, tormentata dall’idea di essere un tappabuchi, però insieme felice per come sto e per i prossimi programmi, incredula a proposito del corso degli eventi (ormai ‘nuovo’ non si può più dire), pensavo che non sono più il giaguaro di una volta. E in parte pensavo che mi andrebbe un po’, di tornare a un anno fa.

L’insicurezza mi ha.

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