Ma si incontrano tante persone, e si cammina un sacco. Esistono, viene da ricordare, città in cui tutti i luoghi sono sufficientemente vicini da prevedere almeno la possibilità di andarci a piedi, dove devi.
È stata una bella sensazione pensare che l’amerei, Trieste, ma sarebbe una passione breve, fugace, slegata dalle fibre del mio essere.
Cerco le città, mi ci perdo, mi imprimo nella memoria la luce, gli odori, l’orientamento delle strade. E più di tutto, come mi fanno sentire. Con le città lo si può fare più che con le persone, in effetti. Loro non reagiscono, e puoi immaginarci quello che vuoi.
Ho camminato, quindi, e preso un autobus che saliva sui colli per andare in una di quelle mete di pellegrinaggio scientifico che si vedono sui giornali. Così affascinanti che le immagino, nel mio agnosticismo radicale, come vere e proprie cattedrali, maestose e familiari ad un tempo, per i frequentatori usuali.
Sono stata preoccupata, ho imparato cose nuove, ho dormito abbracciata ad uno dei miei fratelli che adesso è lontano, ma resta vicino. E infatti chi ci ha osservato ha detto che ho cambiato faccia, quando l’ho visto.
Ritrovare la familiarità è anche recuperare vecchi pezzi di noi che abbiamo dimenticato su una mensola o perso per la strada. E la sensazione che gli smarrimenti siano reversibili è impagabile.